Lo spettacolo, liberamente ispirato e composto da Il Calapranzi di Harold Pinter e Frammenti di Teatro II di Samuel Beckett, è una pièce nera in un atto che nasce dall’accostamento senza urti tra due autori ugualmente privi di candore, ricchi di umori velenosi. In una stanza si concentra, per vie diverse ma con esito analogo, tutto il teatro possibile, tutta l’azione che può nascere da un dialogo senza dialettica tra due bellimbusti –più attori che personaggi- frammentati come le storie che li contengono. Storie da nulla, ricche di vicende improbabili, dispetti, cattiverie, fallimenti; una conversazione futile eppure minacciosa realistica fino all’assurdo.
Ne Il Calapranzi (1957) due killer non propriamente efficienti ed affiatati attendono la chiamata per l’ennesima eliminazione. La giornata è nata storta. Nella stanza ad ore ci sono troppe cose che non vanno. Segni inquietanti per vie affatto misteriose (uno sciacquone che funziona sempre in ritardo, un portavoce ossessivo, un calapranzi con comande impossibili). Ma sono soprattutto le teste che non girano al meglio, e la rivolta degli oggetti non fa che anticipare un macabro finale.
In Frammenti di Teatro II (1960 circa) la storia si ripete: i due tipetti ora hanno cambiato ramo: hanno smesso i revolver e fanno i ragionieri di morte. Istruiscono a domicilio pratiche di suicidio. Con poca fatica, minimo rischio e molta crudeltà, subissano di ricordi e testimonianze un povero signor C che, perfetto campione della dissoluzione esistenziale beckettiana, se ne resta a letto –più apatico che impressionato- ad assistere al disastroso teatrino della propria inutile vita. Ma ancora una volta la stanza dà corpo alle ombre, le mansioni non sono poi così facili, e un brivido della notte tortura le schiene dei due persuasori di morte. E così, come in ogni grottesco, orrore e disperazione producono un macabro spasso. In scena due giovani attori si misurano senza rete, a mani nude, con cosciente coraggio e gaia serietà, nella ronde della parola in azione, intrecciando a vista – con la dovuta forza e grazia – due piccoli classici della drammaturgia europea del Novecento.
con Giuseppe Palazzolo e Francesco Terranegra
e con Davide Ventura
Regia di Giancarlo Sammartano
Impianto scenico e costumi di Valentina Tesei
Aiuto Regia Antonio Balbi