ILIO

Il racconto della guerra di Troia

(spettacolo patrocinato dall’Ente Parco Segesta)

con

Roberta Anna Michela Asiei, Irene Bianchini, Riccardo Casertano, Ivano Cavaliere, Annalisa Cracco, Marta De Medici, Michela De Nicola, Simone Di Tommaso, Anna D’Ippolito, Jonathan Giusto, Vincenzo Guida, Vincenzo Iantorno, Andrea Lami, Federico Lucidi, Giulia Malavasi, Marzia Mancino, Achille Mandolfo, Clizia Mencaraglia, Roberto Mulia, Rossella Pagano, Federica Pallozzi Lavorante, Luca Sablone, Rachele Spinozzi, Flaminia Stabile, Davide Ventura

a cura di Francesco Sala, Paola Maffioletti, Alessandro Quarta

testi da Dante, Euripide, Eschilo, Omero, Shakespeare, Sofocle, Virgilio, Wolf

musiche da Glass, Mazzocchetti, Preisner, Quarta, Vangelis

collaborazione di Sergio Basile, Valentina Tesei, Simone Caredda

Lo spettacolo nasce dalla suggestione dell’incontro tra la poesia epica e quella drammatica nella comune radice del mito troiano. Una delle grandi fonti ispiratrici della poesia e del teatro greco-latino si ricompone in un quadro unitario: un testo nuovo e trasversale, intonato dalla curiosità e guidato dal dubbio. La guerra di tutte le guerre sulle rive dello Scamandro, lo scenario teatrale che fonda la storia della Grecia e del Vicino Oriente, si compone come visibile ricordo dell’avvincente destino di uomini e popoli. Attraverso il montaggio intrecciato di brani della poesia antica di Omero e Virgilio, di Saffo e Mimnermo, di Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, fino a Dante e Brecht, il racconto della guerra di Troia prende la forma del contrasto drammatico, del cunto, della musica, della danza, nello spazio di un “convivio” popolare, contadino, una scanzonata festa in una delle tante periferie perdute del nostro tempo. Gioco teatrale su di un mito giovanile, ricordo di una giovinezza ginnasiale perduta, di una classicità romantica e avventurosa, Ilio è anche riflessione sull’ingiustizia e sull’inutilità di tutte le guerre. Gli eroi apollinei che cercano nella bella morte la leva della memoria storica, sono il segno di un’era che non è mai esistita se non come elegia letteraria; esorcismo e sublimazione dello strazio, dell’orrore, del sangue, della morte collettiva, del destino di distruzione e decadenza che le guerre trascinano con sé. Guardare al passato –nel tempo così incerto del presente- significa pur sempre cercare una via di pace per tutti quei luoghi dove i sassi lottano con i cannoni, la pietà con il terrore, la saggezza con l’ignoranza. Il Teatro, pur nella sua apparente levità, vuole ancora –ostinatamente- parlare al suo spettatore, contagiarlo alla coscienza del mondo, arruolarlo senza divisa alla causa del sogno aristofaneo: una pace giusta per una vita nuova.