Scrittura scenica ispirata all’opera teatrale, poetica, letteraria, dai diari e scritti teatrali di Bertolt Brecht
con Claudio Trionfi
e con Ivano Cavaliere, Maria Beatrice Giovani, Andrea Lami, Giulia Malavasi, Alisia Pizzonia
regia di Giancarlo Sammartano
regista assistente Paolo Floris
scena e costumi Daniela Catone
Scrive l’attore Ekkehard Schall –marito di Barbara Brecht- nel suo libro La mia scuola di teatro dell’esistenza di riflessioni e appunti di Bertolt Brecht, nei suoi ultimi anni del Berliner Ensemble, per una possibile messa in scena di Aspettando Godot. Brecht e Beckett? Possibile? Il poeta e drammaturgo militante, l’ideologo della rivoluzione morale (e materiale) delle società e degli stati, il sofista dialettico dell’antinaturalismo, l’utopista del Nessuno o tutti, guarda ora alla landa desolata dell’incomunicabilità beckettiana, al tragico nichilismo esistenziale dei sommersi? Beckett-Brecht: una contraddizione in termini. Cosa cerca Brecht in quel testo, ora che finalmente ha il suo teatro, uno spazio di apparente libertà nella stretta delle ragioni di stato, al centro di un Europa ancora in guerra, anche se fredda? Cerca altre leve della contraddizione, l’esercizio del dubbio, il superamento degli steccati di senso e di metodo sul fare teatro.
Lo spettacolo nasce da questa eretica suggestione. Brecht come Krapp, -in una notte d’estate del ’53- ricorda e rappresenta il suo mondo, con i suoi versi, i suoi apologhi, i suoi personaggi. Il giorno declina, vacillano le speranze, si spenge il suo sigaro per l’amarezza. Come Stanislavskij degli ultimi anni –stesso contraddittorio destino- riceve a casa giovani allievi, vecchi fantasmi, e trasforma il suo salotto nella stanza segreta dell’esperimento. Smonta e prova l’immenso materiale della sua opera cercando con brani di Godot nuove forme per la sua protesta. Va in scena il teatro da camera di un’umanità prima illusa e poi disperata, che lotta solo per il soldo, che vive sopravvivendo. Scena dove governa la contraddizione del mondo disuguale, tra la cattiveria utile dei molti, e l’inutile bontà dei pochi: quella solidarietà sentimentale che lascia tutto com’è. Parabola di un mondo che collettivamente sa organizzare solo la sua distruzione, che evoca ipocritamente la natura solo per legittimare l’immobilità dei propri rapporti economici e sociali, che parla di morale così come si fischia nel buio per farsi coraggio.
Spettacolo composito dall’opera teatrale, poetica, letteraria, civile e teoretica di Bertolt Brecht, in ricordo e difesa del suo pensiero d’arte e di vita; della sua struggente utopia di una società del futuro, di una nuova democrazia dell’uguaglianza compiuta, partecipata e senza ritorno.
Foto di scena di Giulio Paravani